Gli attivisti nelle Alpi sostengono che non ha senso spendere soldi pubblici per le località senza neve. Vogliono invece investire nel turismo montano sostenibile.
In una nuvolosa mattina di ottobre, gli attivisti locali hanno raggiunto la cima del Monte San Primo, nel nord Italia, per opporsi alla ristrutturazione di una stazione sciistica dismessa.
Con una vetta a 1.685 metri nelle Alpi italiane, a solo un’ora da Milano, il Monte San Primo offre un panorama su iconici Lago di Como.
Ma il bellissimo paesaggio è disseminato di infrastrutture sciistiche in degrado. Sul fianco della montagna svettano tre impianti di risalita, ormai inutilizzati da anni. Accanto a loro, un cannone da neve è circondato dalla vegetazione in crescita.
Contemporaneamente alla protesta di Monte San Primo si tennero manifestazioni contemporaneamente anche attraverso le Alpi e gli Appennini. Il tutto in contrapposizione ad altri investimenti miopi e invasivi in Italia in un momento in cui il crisi climatica mette in dubbio la sostenibilità degli sport invernali.
Cosa vogliono gli attivisti?
Gli attivisti protestano contro l’utilizzo di fondi pubblici per rinnovare le vecchie attrezzature da sci a bassa quota. Sostengono che presto sarà comunque tutto inutile, man mano che le temperature globali aumenteranno.
Le autorità locali prevedono di spendere 5 milioni di euro per nuovi impianti di risalita, un’area bob and tubing, un bacino per l’innevamento artificiale e un parcheggio più grande.
“Non è aggiornato. Anche in termini di redditività questi impianti di risalita non hanno più senso”, afferma Roberto Fumagalli, presidente del Coordinamento Salviamo il Monte San Primo. Riunisce 33 organizzazioni di base che spingono per fermare il progetto.
Gli attivisti vogliono il vecchi impianti di risalita da smantellare. Ritengono che i fondi sarebbero meglio utilizzati per ripulire i sentieri escursionistici, migliorare i trasporti pubblici e mantenere i boschi circostanti, il tutto sostenendo forme lente di turismo.
Di fronte a un futuro di montagne più calde e senza neve
Molte stazioni sciistiche in Italia sono state costruite negli anni ’60 e ’70. San Primo divenne popolare poco prima, alla fine degli anni Cinquanta, ma con il passare degli anni cadde in disgrazia. Dal 2013 qui non sciano quasi più.
“Qui siamo poco sopra i 1.000 metri. Anche se si usa la neve artificiale, ci vuole una giornata di sole per scioglierla», dice Antonio Bertelé, un contestatore che ha imparato a sciare negli anni Settanta sulle piste di San Primo. “È semplicemente assurdo investire nel turismo sciistico qui.”
In Italia i dismessi sono 249 stazioni sciistiche, e 138 sono temporaneamente chiusi. Secondo un sondaggio di Legambiente, una delle principali ONG ambientaliste italiane, 84 sono aperti solo in modo intermittente e 181 sopravvivono grazie a finanziamenti pubblici.
“Gli impianti in alta quota vivranno più a lungo, ma dovranno comunque diversificarsi. Ma chi è a bassa quota vive semplicemente nell’illusione di una grande nevicata», spiega Vanda Bonardo, responsabile del settore Alpi di Legambiente.
Lo scorso inverno, in molte stazioni sciistiche alpine i turisti hanno sciato su strisce di neve artificiale che tagliavano l’erba. Secondo il Copernicus Climate Change Service, il 2022 è stato il secondo anno più caldo mai registrato in Europa. I dati del CNR-ISAC hanno mostrato che l’anno scorso è stato il più caldo e secco in Italia dal 1800.
“Se si guardano le serie storiche dal 1850, la tendenza generale è verso un aumento della temperatura e una diminuzione delle nevicate. Sono sempre di più gli anni caldi che superano i record degli anni precedenti”, spiega Antonella Senese, glaciologa dell’Università di Milano.
In le Alpi, le temperature sono aumentate più del doppio rispetto alla media. Secondo Legambiente, su 224 comuni montani situati all’interno o in prossimità di stazioni sciistiche, 22 hanno registrato un aumento di 3 gradi o più tra il 1961 e il 2018.
Con l’intensificarsi del riscaldamento globale, anche la permanenza della neve sul suolo ne risente. Tra il 2000 e il 2019, i modelli di copertura nevosa nella grande regione alpina sopra i 3.000 metri hanno mostrato una riduzione significativa con una media di meno 17 giorni per decennio, spiega Senese.
La neve artificiale non è una soluzione
Le aree montane sono intensamente sfruttate per alimentare l’industria dello sci. Qualche settimana fa, gli ambientalisti hanno organizzato una manifestazione al Lago Bianco, un lago alpino situato in una riserva naturale, dopo che i bulldozer hanno iniziato a perforare e scavare attorno ad esso per pompare acqua per i cannoni da neve della stazione sciistica di Santa Caterina di Valfurva.
In Italia il 90% delle piste sono coperte di neve artificiale. La percentuale è molto più bassa negli altri paesi alpini, con Austria utilizzandolo per il 70% delle piste e Svizzera e Francia rispettivamente per il 70% e il 50%.
L’innevamento artificiale comporta la costruzione di condutture e bacini, un impatto sull’ambiente, l’esaurimento delle risorse idriche e l’aumento dei costi energetici.
Il turismo sostenibile è la risposta
Invece di sfruttare la montagna attraverso il turismo sciistico, alcune località hanno iniziato a investire turismo tutto l’anno con ciaspolate, mountain bike, trekking, arrampicate o attività culturali che coinvolgono il cibo e le tradizioni locali.
La Valpelline, valle della Valle d’Aosta, non dispone di impianti di risalita. I turisti possono invece usufruire di alloggi, rifugi e attività a conduzione familiare in cui agricoltori, artigiani e host collaborano per promuovere un turismo responsabile immerso nella natura, nel rispetto della comunità locale.
Allo stesso modo in Piemonte, la Valle Maira è una valle isolata, da tempo fuori dai radar del turismo intensivo. La valle è priva di infrastrutture sciistiche e, dopo anni di spopolamento, sta fiorendo grazie a pratiche sostenibili.
“Sostenibilità ha tre aspetti fondamentali: ambientale, economico e sociale”, afferma Raffaele Marini, presidente della commissione per la tutela dell’ambiente montano del Club Alpino Italiano. “Il turismo invernale deve andare verso la diversificazione, evitando picchi di flusso concentrati in pochi spazi e in tempi brevi”.
Ma mitigazione e adattamento sono richiesti anche ai turisti.
Dalla cima del Monte San Primo Fumagalli indica la zona dove sono previsti i nuovi impianti di risalita. Poi guarda il lago e le montagne intorno a lui prima di godersi il pranzo dopo la lunga camminata. “Qui non c’è bisogno del turismo mordi e fuggi”, dice.
Image:Getty Images