Ideatore di un universo cinematografico bizzarro e unico, il regista canadese era a Lisbona per presentare il suo ultimo film, “The Shrouds”, che ha vinto il Gran Premio della Giuria alla 18esima edizione del Lisboa film festival
The Shrouds è un film nato dal dolore: nel 2017 il cancro si è portato via Carolyn, la donna con cui il regista canadese David Cronenberg era sposato dal 1979. Se dopo il lutto aveva già firmato un film, Crimes of the Future, che segnava un ritorno al body horror nel più puro stile “cronenberghiano”, questa volta ha deciso di immergersi nel suo dolore e di realizzare un film sulla perdita, non senza un tocco di humour nero, e così è nato questo nuovo lavoro, presentato al Leffest (Lisboa film festival) dopo essere già stato a Cannes e Toronto. Cronenberg lascia il festival fondato dall’amico Paulo Branco, dove è già un habitué, con il Premio speciale della Giuria e promette di tornare con nuove opere.
A un piccolo gruppo di giornalisti, tra cui Euronews, ha parlato di questo film, del dolore che lo ha motivato e di una carriera di oltre cinquant’anni che ha dato vita a un intero universo di stranezze che ora viene raccolto da una nuova generazione di registi come Julia Ducorneau (Titane) o Coralie Fargeat (The Substance), un’eredità che lo rende orgoglioso.
Com’è nata l’idea di The Shrouds?
Probabilmente sapete che la donna che è stata mia moglie per 43 anni è morta nel 2017. Eravamo molto uniti, abbiamo cresciuto tre figli insieme. Per due anni mi sono occupato di lei perché era molto malata e in quel periodo non ho girato alcun film. Quando tutto è finito, ho pensato che forse non avrei più fatto film.
Col tempo, ho finito per convincermi a fare Crimes of the Future, da una sceneggiatura che avevo scritto venti anni prima, e ho capito che volevo ancora fare film. Ho pensato che il tema più ovvio per me sarebbe stato la mia perdita, la perdita di mia moglie, ma non volevo fare solo un film sentimentale sul lutto, ce ne sono molti altri. Volevo fare la mia versione di un film sul lutto, il che significa che doveva essere sia divertente che triste. Non volevo fare un’autobiografia.
Inizialmente ho pensato al progetto come a una serie di sei o otto ore. Ho trovato qualcuno disposto a finanziare due episodi, ma poi ha deciso di rinunciare al progetto. Dato che ci credevo ancora, ho deciso di trasformare quei due episodi in un film.
Come è stato accolto il film?
Ho avuto l’impressione che a Cannes non abbia fatto ridere abbastanza. Questo perché il pubblico del Festival di Cannes è un pubblico molto particolare, è molto speciale, non è un pubblico normale. Ci sono distributori, ci sono persone normali che vivono in città, ci sono molti attori, registi e produttori del mondo del cinema.
A Cannes ci sono anche i sottotitoli in due lingue, francese e inglese insieme. Credo che l’umorismo si sia un po’ perso in tutto questo. Ma quando abbiamo proiettato il film a Toronto – questo è un film di Toronto, la mia città natale – la gente ha riso tanto. Hanno riso per cose che non si capiscono se decontestualizzate, perché sono così tipiche di Toronto, molto specifiche di Toronto. È stata davvero la reazione più bella di tutte. Anche a New York si è riso molto. Un’altra cosa di Cannes è che sono molto rispettosi. È tutto molto glamour, la gente indossa giacche da sera e ha paura di ridere. Forse pensano di essere irrispettosi se ridono. Senza umorismo, la vita non vale la pena di essere vissuta. Per questo, quando scrivo i copioni dei miei personaggi, questi iniziano subito a fare battute, che io lo voglia o no.
Crash (1996), per esempio, è molto divertente, in un modo particolare. In questo senso, è diverso dal libro di J.G. Ballard, che è molto serio. Il film è una combinazione delle nostre due sensibilità.
È d’accordo con i critici quando dicono che questo è un ritorno al body horror?
No, non sono affatto d’accordo. Onestamente, non so cosa sia il body horror. La gente dice che sono il padrino del genere, ma io non ho idea di cosa sia. È un’espressione che non ho mai usato.
Penso che sia un film molto realistico. Al massimo è un horror medico. Se ci si trova attaccati a una macchina per il trattamento medico, è piuttosto orribile. Per me, questo è realismo. Non è body horror, è solo realismo. Per me questo è un film molto realistico. Ovviamente Crimes of the Future non lo era, ma questo film è molto realistico.
Lei dice che è un film realistico. È anche un film spirituale? Perché non sappiamo cosa c’è oltre la morte…
Oh sì, so cosa succede dopo la morte. Lo so davvero. Non lo considero affatto un film spirituale, perché sono ateo, un esistenzialista ateo molto convinto. Volete sapere cosa succede dopo la morte? Niente. L’oblio. Il momento in cui mi sono avvicinato di più alla morte è stato quando ho subito un’operazione. Si diventa incoscienti e non si sogna. Si scompare. Per me, questo è ciò che accade dopo la morte. Per questo non direi che faccio film spiritualisti.
David è quello che chiamiamo un “regista d’autore”, il che significa che un suo film si riconosce immediatamente dai primi minuti. Almeno questa è la mia opinione. Anche Vincent Cassel è un attore emblematico, perché ha uno stile di recitazione molto particolare. In che modo avete lavorato insieme a questo film?
Ho già lavorato con Vincent Cassel due volte, in Eastern Promises e A Dangerous Method, quindi lo conosco molto bene. È vero che di solito interpreta personaggi molto duri, tipo gangster. Parla molto velocemente, ma in questo film gli ho chiesto di parlare lentamente.
È un attore meraviglioso. In questa pellicola ha sentito di dover interpretare me. La gente dice che siamo simili, anche se non ci assomigliamo affatto. Ha cambiato completamente il modo di parlare, ha rallentato. Parla con più calma e meno emotivamente, e si è preparato per interpretare un personaggio molto specifico, come farebbe ogni bravo attore. Sebbene nel film gli si noti un accento francese, ha anche una sorta di accento di Toronto, dato che gli ho chiesto di emulare la mia cadenza.
L’ho fatto anche con Diane Kruger. Lei è tedesca e parla un inglese perfetto. È riuscita a parlare con un accento uguale al mio. Le ho detto: “Diane, questo è un film di Toronto. Questo personaggio è di Toronto. L’accento dovrebbe essere il mio quando parli in inglese”. L’ha fatto perfettamente.
C’è una nuova generazione di registi che gira film “cronenberghiani”. Due esempi recenti che mi vengono in mente sono The Substance (Coralie Fargeat) e Titane (Julia Ducorneau). Che effetto le fa vedere nuovi registi che seguono il suo stile, vincendo anche dei premi?
È odioso. Vorrei distruggerli (ride). In realtà conosco Julia Ducourneau e Coralie Fargeat, sono entrambe donne adorabili e registe meravigliose. Il fatto che dicano di essere state influenzate dal mio stile è motivo di orgoglio. Mi fa sentire bene. È come se avessi dei figli meravigliosi che fanno film.
Ma lei ha un figlio regista, Brandon (Possessor, Infinity Pool)
Non solo Brandon! La mia figlia più giovane, Caitlin, ha appena firmato il suo primo lungometraggio, Humane. Ho due figli che fanno film.
Ritiene che il lavoro di Brandon sia una sua eredità?
No, è divertente perché ha una sua sensibilità. È molto facile fare un collegamento tra noi due, ovviamente. Ma lui ha un grande senso dell’umorismo, che è molto unico e molto diverso dal mio. I suoi film sono spaventosi ma divertenti. Ha un senso dell’umorismo molto specifico. Ha scritto entrambe le sceneggiature. Caitlin non ha scritto la sceneggiatura, ma anche lei ha la sua sensibilità, che si vede chiaramente nel film.
Chi conosce Brandon e me vede entrambe le sensibilità nei film. La sua è molto diversa dalla mia.
L’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti mi ha ricordato il personaggio di Martin Sheen nel suo film La zona morta (1983)
Prima si pensava che George Bush fosse il personaggio di Martin Sheen. Ora, Trump è oltre quel personaggio. Ma non parliamo di politica americana. Ho vissuto nove anni di Trump e di politica americana e credo di aver bisogno di una pausa. Mi rifiuto di leggere qualsiasi articolo di giornale su Trump, il che significa che non leggo nessun giornale, perché è ovunque.
La mia domanda era se pensa che viviamo in tempi in cui la realtà può eguagliare la finzione più selvaggia.
Certo che sì. Per esempio, la serie Veep è obsoleta, perché quello che è successo è più comico di quanto Veep sia mai stato. Donald Trump è satira, quindi è un po’ difficile superarlo. Parlando di realismo, non è realistico. Non è un personaggio realistico. Si potrebbe dire che è stato inventato da un pazzo.
Lei è un habitué del Lisboa Film Festival. È importante per lei venire qui?
Assolutamente sì, qui faccio sempre incontri meravigliosi. È qui, per esempio, che ho conosciuto Don DeLillo, di cui ho adattato per il cinema il romanzo Cosmopolis. Ho incontrato persone fantastiche qui, e non solo nel mondo del cinema.
Ha qualche progetto cinematografico imminente?
Sono in trattative con il produttore ungherese-canadese Robert Lantos per realizzare un film dal mio romanzo Consumed.
The Seed of the Sacred Fig trionfa anche a Lisbona
Mentre il film di Cronenberg ha vinto il Gran Premio della Giuria João Bénard da Costa ex-aequo con Rendez-vous avec Pol Pot di Rithy Panh, il premio principale del festival – il Gran Premio Nos – è andato a The Seed of the Sacred Fig, dell’iraniano Mohammad Rasoulof.
Il film, già premiato a Cannes, racconta la storia di un giudice costretto a firmare mandati di morte in mezzo a proteste diffuse nel Paese, finché non entra in conflitto con la sua stessa famiglia. Rasoulof, che ha lasciato l’Iran dopo essere stato condannato più volte per le sue opere, era presente a Leffest per presentare il film.
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