La collega di Euronews Maithreyi Seetharaman ci presenta un nuovo episodio di “Real Economy”.
“Lo sapevate che l’EuroZona e l’Unione Europea l’anno scorso sono cresciute ad un ritmo più veloce rispetto all’ultimo decennio?”
“E questa crescita è prevista anche per quest’anno e per il prossimo. Ma per la salute del nostro prodotto interno lordo, o PIL – come lo chiamiamo noi – e per essere veramente efficace, questa ripresa deve essere profonda per i cittadini di tutti i 28 paesi dell’Unione Europea.
Gli economisti paragonano il PIL al tachimetro di un’auto. Può segnalare la velocità, ma non può indicare se l’auto sta per avere problemi al motore, guasti o se sta per essere colpita.
“Come direbbe Spock, il personaggio di Star Trek: “I fatti insufficienti invitano sempre il pericolo“. Quindi abbiamo messo insieme alcuni indicatori di quello che si prevede all’orizzonte”.
Le previsioni per i prossimi anni
– Guardando attraverso le ultime previsioni della Commissione europea, si prevede che la crescita continuerà ancora.
– I consumatori e le imprese sono più positivi, mentre le economie globali stanno crescendo.
- L’inflazione complessiva, che include i prezzi del petrolio e dei prodotti alimentari, dovrebbe aumentare, ma se togliamo questi aumenti rimane l’Inflazione “di fondo”, che dovrebbe rimanere bassa.
– Si prevede che la domanda europea dei consumatori continuerà a guidare la crescita nel 2018, aiutando lo sviluppo sostenibile dell’industria, in tutti i settori e paesi.
– L’accesso a finanziamenti a basso costo dovrebbe anche aiutare le imprese, aiutando così l’aumento degli investimenti.
– Ciò significa che le aziende possono esportare di più per i consumatori di tutto il mondo, nonostante un euro costoso e forte. Potenzialmente, anche creando più posti di lavoro.
Tutti i paesi dell’UE dovrebbero crescere nel 2018, ma i rischi restano: dalla Brexit alle tensioni geopolitiche alle regole finanziarie più rigide. Almeno fino al 29 marzo 2019, data di uscita ufficiale del Regno Unito dall’Unione Europea. Fatto salvo, poi, il cosidetto “periodo di transizione”.
Intervista ad Ángel Gurría
“Questo è un punto di vista”, riprende Maithreyi Seetharaman. “Ma voglio sentire un’altra opinione: quella di Ángel Gurría, segretario generale dell’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico.(Il termine internazionale è OECD: Organisation for Economic Co-operation and Development).Lo incontro nel loro quartier generale, al Chateau de la Muette, a Parigi.
– Ángel Gurría, le abbiamo proposto una sfida: portare un oggetto che descriva il suo pensiero sulla sfida per la crescita europea: potrebbe spiegarcelo?
“Si puo facilmente sottovalutare l’Europa, ma bisognerebbe guardare sotto l’impalcatura. Risparmi denaro per 3 anni per andare in Europa e poi arrivi a Notre Dame o al Duomo di Milano o alla cattedrale di Colonia e poi scopri è tutto coperto dalle impalcature! Ma poi torni 3 anni dopo e hanno finito! Questa è la visione dell’Europa: che si reinventa sempre, si ridisegna, si rafforza, ma sempre in “work in progress”…con il casco da protezione e con la cazzuola!”.
Ángel Gurría si è presentato all’intervista portando con sè proprio un casco di protezione e una cazzuola.
“Beh, vi assicuro che non abbiamo organizzato questa cosa”, dice sorridendo Maithreyi Seetharaman, “ma allora è proprio perfetto vedere Giovanni Magi in Irlanda a scoprire come l’industria delle costruzioni stia aiutando a trainare la ripresa economica. Per scoprire se questo è un caso fortunato per gli irlandesi oppure, come qualcuno la definisce, è una vera e propria “Fenice Celtica”.
La Fenice Celtica
Ovunque guardi a Dublino, oggi, si vedono le gru! Uno spettacolo che non era certo così abituale, quando la crisi finanziaria ha colpito l’Irlanda nel 2008. L’edilizia rallentò considerevolmente, fino quasi a fermarsi.
Ma nel 2013, la tigre celtica ha iniziato la sua lenta e costante rinascita.
“Al culmine della produzione, valiamo circa il 25% del PIL“, spiega Frank Kelly, vice-presidente della Construction Industry Federation. “Nella fase più bassa della recessione ci riduciamo al 3%. Attualmente, siamo tra il 6 e il 7%, ma gli economisti credono che dovremmo arrivare tra il 12 e il 15%. Quindi, ovviamente, c’è ancora un bel margine di crescita in termini di produzione sostenibile di costruzioni”.
La crescita irlandese si vede anche in altri indicatori: le esportazioni hanno battuto tutti i record l’anno scorso; il consumo delle famiglie è aumentato; e la disoccupazione è vicina ai livelli pre-crisi e anche i salari stanno aumentando.
– Cosa ne pensa il mondo dell’industria di questa crescita?
“C’è un riconoscimento nel cercare di ottenere quell’equilibrio tra lo sviluppo privato e ovviamente governo e infrastrutture”, continua Frank Kelly. “Le infrastrutture sono assolutamente necessarie perché tutto il resto possa accadere“.
Mantenere questa crescita sostenibile dipende dai fondamenti dell’economia e gli irlandesi hanno alcuni aspetti che li rendono decisamente unici.
Il nostro inviato Govanni Magi spiega: “I dati sulla crescita dell’Irlanda sono alterati dalla presenza di grosse multinazionali che si sono installate qui essenzialmente per motivi fiscali. Ma anche sottraendo l’attività manifatturiera che queste multinazionali svolgono fuori del paese, il tasso di crescita irlandese resta il doppio dell’Unione europea”.
Ma ci sono grandi sfide da affrontare: dalle nuove regole fiscali alla Brexit!
“L’ignoto è esattamente quello che affronteremo nella Brexit: questa è la principale fonte di incertezza e rischi visto da una prospettiva irlandese“, commenta Simon Barry, economista dell’Ulster Bank. “Più sarà dura la Brexit e più gravi saranno le conseguenze economiche. Ma anche tenendo conto dell’impatto della Brexit a medio e lungo termine, è probabile che l’economia irlandese continui a crescere”.
Ma tutto dipende, ovviamente. dalla forza dell’edilizia nel sopportare gli inevitabili rischi globali.
Salari, guerre commerciali e Brexit
La collega Maithreyi Seetharaman riprende l’intervista con Ángel Gurría, segretario generale dell’OCSE.
– Se guardiamo a medio termine, stiamo assistendo a una crescita dei salari come non era mai accaduto. Si tratta di un’inflazione sommessa. Pensa che sia un problema?
“La questione degli stipendi è stato un problema in Giappone, negli Stati Uniti, in Messico, in Europa. Perché?”, si domanda Ángel Gurría. “Perché prima di tutto abbiamo una tecnologia che si sta muovendo sempre in modo contrario alla creazione di nuovi posti di lavoro. In pratica si sta cercando di creare un ambiente che sia attraente per fare affari. Dove c’è una manodopera qualificata appropriata che può soddisfare queste richieste. Calcoliamo che nei prossimi 10-15 anni, forse circa il 10-14% della forza lavoro rischia di essere delocalizzato, e un altro 30% della forza lavoro potrebbe subire ripercussioni nelle attività quotidiane”.
– Se guardiamo le guerre commerciali che sono già iniziate, le vedete come un rischio? E quanto l’Europa deve essere dipendente dalla propria domanda interna?
“Le guerre sono tutte cattive!”, esclama Ángel Gurría. “Bisogna impegnarsi in un dialogo per la soluzione sostanziale del problema, perché altrimenti si sta solo cercando di colpire gli effetti del problema! Ogni volta, ogni anno, ogni due anni, ci sarà una fiammata di queste conseguenze, se non si affronterà il vero problema. In questa fase l’Europa non è impegnata in una guerra commerciale! E spero che non lo sarà mai! Ma la domanda è: come progettare un piano per il futuro?”.
– E come fa l’Europa se uno dei suoi membri chiave – il Regno Unito – se ne sta andando? Qual è il rischio maggiore? La Brexit, le relazioni degli Stati Uniti o qualcos’altro?
“La relazione con gli Stati Uniti è cruciale perché è un cliente molto importante! E la Brexit è dirompente. Il Regno Unito sarà sempre un partner commerciale molto importante in Europa e continuerà ad essere una realtà economica molto importante per l’intera Europa. Un decennio è stato perso nella lotta contro la crisi, che invece ci ha lasciato ancora la sua eredità! Vi sono disuguaglianze crescenti e”, conclude Ángel Gurría, “si ha un calo molto grave nel livello di fiducia delle persone nel proprio governo e nelle proprie istituzioni”.
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